Imprenditrice di One Sense
by Beatrice De Negri
Valeria Olivotti (Facebook, Instagram) non è una ragazza qualsiasi, ma una che trasforma ciò che apparentemente sembra un ostacolo in un punto di forza: la sordità.
Poiché quello che cerchiamo è positività, metto la mano sul cuore e giuro e spergiuro che lei ne è l’emblema, perché infatti, quello che ha creato con “One Sense”, ristorante in zona Garbatella a Roma, va oltre il cibo e l’atmosfera e ora vi spiego il perché.
-Valla! Presentati
Mi chiamo Valeria Olivotti, ma vengo chiamata da tutti Valla, ho quasi 30 anni, mi reputo una ragazza alla mano, che ama viaggiare, adora i colori, l’arte, l’equitazione, la moda e ovviamente…parecchio anche il cibo.
-Parlami di One Sense, come è nato?
OneSense è nato per caso, in effetti, da una chiacchierata con mia madre, sia lei che io amiamo mangiare e scoprire nuovi posti, nuovi pasti…
Le stavo raccontando del “Bar Senza Nome” a Bologna, un bar gestito solo da sordi, lei ne era entusiasta e mi aveva chiesto se esistesse qualcosa di simile anche a Roma ma, ovviamente, no.
Man mano che parlavamo, le raccontavo che quando andavo a cena fuori con degli amici sordi, alcuni riscontravano difficoltà nel comunicare con il cameriere, e i pregiudizi nei loro confronti, come il comportamento scorretto, erano tanti e soffocanti.
-Possiamo definirlo un “safe place”, quindi. Spiegaci meglio la filosofia che c’è dietro.
La filosofia di OneSense, in breve, è quella di accogliere a braccia aperte la “diversità” in tutte le sue forme: etnia, culture, disabilità, pensieri e scelte di vita. La ricercatezza del nostro menù è il frutto di quello in cui crediamo, biologico e solidale, proveniente dalle comunità di San Patrignano e Capodarco, per lanciare un messaggio non sempre percepibile, quello che l’unione fa la forza.
Tutti si sentono a “casa”,si rilassano, il servizio è per tutti e il fatto che si mangi anche bene e a prezzi contenuti lo rende un posto davvero al 100% accessibile.
Sarò di parte, ma lo considero davvero uno dei ristoranti più belli di Roma, tutto è infatti curato nei minimi dettagli, provate per credere!
-Hai riscontrato delle difficoltà nella realizzazione del progetto?
Le difficoltà ci sono state, ma le ho superate con caparbietà. Alcune erano legate a dei pregiudizi: “Come può una sorda diventare imprenditrice?”
Beh, io l’ho fatto! Grazie a questo ristorante, ho potuto dimostrare ancora di più la mia identità sorda ( “Deafhood”).
-Lasciaci un messaggio!
Il mio messaggio è: anche se la sfida sembra molto grande… tu sii più grande di lei! Dimostra sempre ciò che sei senza nasconderti.
La soddisfazione che mi dà il lavoro è vedere come le persone, quelle a conoscenza e quelle ignare del fatto che sia un ristorante gestito da sordi, escano alla fine tutte soddisfatte.
Il mondo della ristorazione sembra banale, ma nel mio ristorante ogni giorno è un colore dell’arcobaleno…
-Il piatto forte?
Il piatto forte, bella domanda… qui è tutto forte! (risata)